Perché Suning-Inter sì e Milan-SES no? Dalla Cina: “Le restrizioni sono sui prestiti”
“Pasquale, ma come è possibile che Suning ha chiuso con l’Inter in così poco tempo e senza nessun tipo di problema e invece da quando siamo entrati nella storia della trattativa tra Fininvest e SES per il Milan niente è andato per il verso giusto?”. Parto da qui, da una delle domande – e sono state migliaia – più frequenti che mi hanno rivolto tantissimi tifosi del Milan. Le risposte, ovviamente, ci sono, e sono molteplici. A partire dall’enorme differenza nel tipo di acquisizione: l’Inter comprata da un gruppo finanziario solido, riconoscibile, in forte espansione, la Suning Holdings appunto. Il Milan scalato da un fondo di private equity, la Sino Europe Sports, in rappresentanza di alcuni investitori non meglio identificati, capitanato dal misterioso broker finanziario Yonghong Li. Fondo rapidamente trasformatosi in una società di capitali offshore dopo la stretta del governo cinese all’esportazione di capitali. Società, la SES, appunto, che ha dimostrato con il mancato closing del 3 marzo, di avere enormi difficoltà nel chiudere l’operazione.
SUNING E SINO EUROPE – E qui scatta la seconda enorme differenza, il prezzo di partenza. Suning per rilevare il pacchetto di controllo dell’Inter ha speso 270 milioni, poi ha rifinanziato i debiti del club e operato sull’asse Hong Kong- Lussembrugo-Milano. E questo è l’unico punto di contatto tra i cinesi di Milan e Inter: anche Sino Europe ha impostato la via dei suoi yuan sulla stessa tratta, ma il prezzo impostato da Fininvest per la cessione del Diavolo, 740 milioni, lo dicono i fatti, si è rivelato fuori mercato. Yonghong Li e i suoi hanno accettato la scommessa, forti a sentire le fonti a loro vicine, di una serie di accordi già firmati con aziende a partecipazione statale, vedi Haixia e Huarong. Ma tutto, proprio tutto è cambiato quando il governo di Pechino ha imposto uno stop gigantesco agli investimenti irrazionali, facendo piombare Sino Europe in una corsa contro il tempo per ricreare l’acquisizione off shore. E qui scatta l’ulteriore differenza, i tempi. Suning non ha chiuso in poche settimane, i fatti dicono che l’intera operazione è stata confezionata in un anno circa, mentre Sino Europe sono due anni e mezzo (prima di mister Bee) che tenta la scalata, tra l’altro muovendosi in un alone di a tratti ingiustificata segretezza. Tempi che si sono dilatati tra cordate spaccate (rottura con Gancikoff, Galatioto e GSR), rinvii e closing saltati. E che hanno portato all’inevitabile stallo e alla stretta del governo cinese che ha chiuso i rubinetti a tutta l’operazione.
COSA DICONO LE FONTI FINANZIARIE CINESI: GLI ANNI DEL BOOM – E qui mi fermo. Perché soltanto i diretti interessati conoscono poi il reale stato delle cose. Da giornalista piombato in questa storia allucinante, l’unico modo che conosco per scrivere i miei articoli, è cercare, approfondire, chiamare contattare. Dopo l’articolo uscito ieri sul Wall Street Journal e dedicato alle restrizioni cinesi sulle esportazioni dei capitali, sono andato fino in fondo. Ho cercato di capire perché questa storia della cessione del Milan è così fortemente condizionata da quanto sta accadendo in Cina e l’unico modo era trovare una fonte finanziaria cinese. “Le banche cinesi sono piene di soldi e di liquidita’, ammassata a cavallo degli anni ’80-90 e 2000 tramite depositi e risparmi di circa 1.3 miliardi di persone, la popolazione cinese, cui si sommano gli ingenti capitali di tutte le società nate in cina negli ultimi 30 anni. Un’enormità di soldi“. A parlare è una fonte finanziaria vicina al governo di Pechino che ha chiesto di restare anonima data l’importanza e la delicatezza dell’argomento. “Intorno al 2003 – continua la stessa fonte – il governo cinese ha aperto agli investimenti esteri e nel giro di pochi mesi quelle stesse banche si sono trasformate in un far west. In sostanza davano soldi a tutti, liberando un mercato rimasto chiuso sotto il regime comunista, che come prima conseguenza, data la concessione di tantissimi prestiti, ha visto crescere l’economia cinese del 10% circa ogni anno. Una crescita enorme a fronte di un movimento di soldi incontrollato e “irrazionale“.
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